Consulente ADR: cosa sapere per la nomina

Cosa avrei voluto sapere prima di diventare consulente ADR

Tutti parlano di ADR. Il web è pieno di articoli e chatGPT può farti un sunto più o meno preciso.
Nessuno racconta cosa significa davvero viverlo.

In questo articolo non troverai un elenco di obblighi o l’ennesimo manuale su cosa fa un DGSA.
Troverai invece il racconto di cosa avrei voluto sapere prima di diventare consulente ADR.
Perché, a volte, capire un ruolo significa prima capire cosa non è.

Nel mondo del trasporto di merci pericolose l’attenzione è quasi sempre rivolta agli obblighi, alle sanzioni.
Si parla di classi di pericolo, certificati, documenti di trasporto, esenzioni, formazione, consulenti.
Ma raramente si parla di cosa succede prima di comprendere tutto questo.
E soprattutto, di cosa si scopre dopo.

Diventare consulente ADR non è un percorso lineare.
Non è una semplice sequenza di studio → esame → lavoro.
È un processo fatto di convinzioni iniziali che crollano, errori, esperienze sul campo, responsabilità che crescono.

Quello che ho imparato in questi anni non l’ho trovato nei manuali. L’ho scoperto nelle aziende, nelle non conformità, nelle relazioni annuali, nelle domande scomode.

Che tu sia un professionista che vuole crescere o un’azienda che sta valutando la nomina di un consulente ADR, ciò che segue potrebbe aiutarti a guardare questo ruolo con una prospettiva più ampia e consapevole.

1. La formazione è solo il punto di partenza del percorso

Il mio ingresso nel mondo dell’ADR non è avvenuto attraverso un piano strutturato, ma come risultato di una combinazione di contesto e opportunità.

Ero nel posto giusto, al momento giusto.

La prima società in cui ho lavorato operava nel settore della formazione e consulenza sul trasporto di merci pericolose. È lì che ho iniziato ad approcciare in modo sistematico una normativa che, fino a quel momento, conoscevo solo per nome.

La prima cosa che ho imparato è stata che ADR è un acronimo, derivante da Agreement Concerning the international Carriage of Dangerous goods by Road, tradotto come Accordo europeo relativo al trasporto internazionale di merci pericolose su strada.

Si tratta di un accordo internazionale nato nel 1957 e reso progressivamente obbligatorio nei Paesi europei, periodicamente aggiornato con cadenza biennale.

L’ADR definisce le regole per il trasporto su strada di merci pericolose, includendo non solo il trasporto in senso stretto, ma anche le operazioni di carico, scarico, manipolazione e preparazione alla spedizione e alla ricezione delle merci.

Questo significa che non si tratta di una normativa che riguarda soltanto chi i vettori, ma tutti i soggetti coinvolti nella gestione delle merci pericolose lungo la filiera.

Non ero ancora una consulente con certificato, ma ero circondata da persone che ogni giorno parlavano di trasporto di merci pericolose, rifiuti, classificazione, imballaggi, documentazione.

Ed è così che ho iniziato ad apprendere concetti, competenze, metodo.

In quel contesto professionale ho compreso progressivamente che uno dei pilastri dell’ADR è la formazione del personale.

L’Accordo, al capitolo 1.3, prevede che tutte le persone coinvolte nelle operazioni di trasporto, carico, scarico e gestione delle merci pericolose ricevano una formazione proporzionata alle responsabilità e alle mansioni svolte.

Tale formazione deve essere documentata, periodicamente aggiornata e conservata dall’azienda per almeno cinque anni.

Ma, al di là dell’obbligo formale, è proprio attraverso la formazione che ho iniziato a maturare una consapevolezza diversa: l’ADR non è un insieme di regole da memorizzare, ma un sistema di prevenzione progettato per ridurre i rischi per le persone, per l’ambiente e per l’impresa.

Quello che ho compreso, solo a distanza di anni, è che la competenza non nasce esclusivamente dallo studio, ma soprattutto dall’osservazione diretta di come la norma si applica nella realtà operativa delle aziende.

2. Se sottovaluti l’esame, l’esame non ti sottovaluterà.

Dopo i primi mesi a contatto con la normativa e la formazione, ho deciso di sostenere l’esame per diventare ufficialmente consulente per la sicurezza dei trasporti di merci pericolose (DGSA).
Lo avevo studiato, mi ero esercitata con i quiz.

Eppure, lo avevo sottovalutato. La prima volta non l’ho superato.

L’esame per consulente ADR è gestito dalla Motorizzazione Civile e prevede il superamento di una prova teorica articolata, finalizzata a verificare non solo la conoscenza dei testi normativi, ma la capacità di interpretare correttamente le situazioni operative legate al trasporto di merci pericolose.
Il certificato, una volta ottenuto, ha validità quinquennale e deve essere rinnovato attraverso un nuovo esame alla scadenza.

L’esame è un passaggio formale fondamentale.
Il DGSA, secondo il capitolo 1.8 dell’ADR e art. 11, par. 5  D.Lgs. 35/2010, non è una figura di rappresentanza, ma la persona incaricata di affiancare l’impresa nell’individuazione dei rischi e nella prevenzione degli stessi durante tutte le operazioni connesse al trasporto, al carico e allo scarico di merci pericolose.

E questo significa saper ragionare su casi reali. Non solo su definizioni.

L’esame, la cui struttura è definita dalla norma stessa, serve a verificare proprio questo: che tu sia in grado di leggere una situazione operativa, collegare la normativa pertinente e individuare soluzioni coerenti dal punto di vista della sicurezza e della conformità. Non senza qualche trabocchetto.

Quella bocciatura, che inizialmente avevo vissuto come una sconfitta, è stata in realtà una delle tappe più formative del mio percorso.

Mi ha obbligata a cambiare approccio: conoscere la norma, ma andare sempre a verificare sul testo, anche se me lo ricordo!

3. La realtà può essere più complessa di quanto immagini

Ormai ero consulente, avevo superato l’esame, lavoravo in proprio, eppure la prima vera esperienza consulenziale mi ha subito mostrato i limiti.

Il progetto che stavo seguendo partiva dalla classificazione delle merci e dall’etichettatura, il problema è che la merce avrebbe poi coinvolto più flussi logistici e più attori. Le merci erano destinate a proseguire il loro viaggio via mare.
Ed è stato in quel momento che ho compreso quanto fragile potesse essere una competenza costruita solo su un perimetro normativo.

Fino a quel momento, il mio riferimento era l’ADR, che conoscevo, avevo studiavo.
Ma quelle merci entravano in un altro sistema normativo, quello del trasporto marittimo, regolato dall’IMDG Code, con logiche, requisiti e criticità specifiche.

È stato un passaggio chiave nel mio percorso, perché mi ha messo di fronte a una complessità che spesso viene sottovalutata: le diverse modalità di trasporto non sono completamente sovrapponibili dal punto di vista normativo.

Il trasporto su strada è regolato dall’ADR, quello via mare dall’IMDG Code, quello ferroviario dal RID, quello aereo dalle IATA Dangerous Goods Regulations e quello per vie navigabili interne dall’ADN.
Si tratta di normative ispirate a una struttura comune, ma con applicazioni e requisiti tecnici differenti, che richiedono una lettura attenta e non semplicemente traslazioni automatiche.

Eppure, ancora oggi mi capita di incontrare professionisti o operatori che liquidano la questione con un’affermazione pericolosamente semplificatoria: “tanto sono la stessa cosa”.

Non lo sono.
E non lo sono mai state.

Ed è proprio in quell’esperienza che ho iniziato a superare definitivamente l’idea di un consulente ADR limitato alla strada, comprendendo invece la necessità di una visione sistemica, capace di leggere il trasporto di merci pericolose come un ecosistema integrato, e non come una somma di normative affiancate.

4. La realtà può essere più semplice di quanto immagini

Dopo anni passati a studiare l’ADR, a seguirne gli aggiornamenti, a districarsi tra note, paragrafi, disposizioni speciali ed esenzioni, mi sarei aspettata di rispondere a domande tecniche sempre più sofisticate.
Invece, una delle domande che mi viene posta più spesso è sorprendentemente semplice:
“Ma noi possiamo evitare di nominare il consulente?”

È una domanda legittima.
Le aziende cercano ottimizzazione, semplificazione, riduzione dei costi.
Ma è una domanda che racconta molto del modo in cui, ancora oggi, viene percepita la conformità ADR.

L’ADR prevede effettivamente che le imprese che svolgono operazioni connesse al trasporto di merci pericolose – spedizione, imballaggio, carico, scarico, trasporto – debbano nominare un consulente per la sicurezza del trasporto di merci pericolose (DGSA).
Si tratta di un obbligo normativo preciso, che non riguarda solo il trasporto con mezzi propri, ma tutte le operazioni svolte dalla catena logistica interna, anche quando il trasporto viene affidato a terzi.

Esistono delle esenzioni?
Sì.

Ma sono limitate, tecniche, legate a casi specifici, e richiedono una valutazione molto rigorosa.

Il D.M. 7 agosto 2023, n. 194 ha regolamentato le possibili casistiche di esenzione dalla nomina del consulente per la sicurezza. Con la successiva circolare esplicativa prot. n. 13921 del 14.05.2024 si sono chiariti alcuni aspetti normativi volti a fornire una corretta applicazione del decreto stesso.

Negli anni ho imparato che il problema non è tanto il fatto che esistano delle esenzioni, quanto l’approccio con cui vengono cercate.
Spesso vengono percepite come una scappatoia, un modo per “uscire dal sistema” invece che come ciò che realmente sono: strumenti pensati per contesti particolari, non per generiche strategie di elusione dell’obbligo.

Ridurre la questione a “possiamo non nominare il consulente?” significa perdere il senso profondo del ruolo.
Perché la nomina del DGSA non è un adempimento formale da evitare, ma l’ingresso in un sistema di gestione strutturato della sicurezza del trasporto di merci pericolose.

Non si tratta solo di nominare una persona, ma di dotarsi di una funzione di presidio, di analisi del rischio, di miglioramento continuo delle procedure.

E paradossalmente è proprio l’analisi tecnica delle esenzioni che spesso dimostra alle aziende quanto quel ruolo sia necessario.
Perché per stabilire se un’azienda può realmente rientrare in un caso di esenzione, è necessario fare quello che farebbe comunque un consulente: analizzare flussi, quantità, classi di pericolo, tipologie di operazioni, frequenza dei trasporti, modalità di imballaggio e gestione.

In altre parole, per dimostrare di poter fare a meno del consulente, occorre già ragionare come se il consulente ci fosse.

5. La relazione annuale è un momento di verità

Tra le attività previste per il consulente ADR, la relazione annuale è spesso quella più fraintesa. In questo articolo trovi un approfondimento su cos’è la relazione annuale.
Molte aziende la percepiscono come un documento formale da produrre perché “lo chiede la norma”, un adempimento periodico da archiviare e dimenticare. In alcuni casi, il consulente viene coinvolto solo a fine anno, quando è il momento di raccogliere i dati necessari per redigerla.

Nella mia esperienza, tuttavia, la relazione annuale rappresenta il momento in cui i nodi vengono al pettine.

Secondo l’ADR, il consulente è incaricato di sorvegliare e consigliare l’impresa su tutte le attività connesse al trasporto di merci pericolose, verificare l’osservanza delle disposizioni, individuare azioni preventive e correttive, formare il personale, analizzare incidenti e quasi-incidenti, e assistere l’azienda nella predisposizione dei piani di emergenza.
La relazione annuale è il documento che raccoglie, sintetizza e formalizza tutto questo lavoro. È un documento che racconta un anno di attività, non un elenco di dati.

Ed è proprio durante la redazione della relazione che emergono gli aspetti più significativi della gestione aziendale:

  • l’efficacia delle procedure interne, soprattutto quelle che riguardano la classificazione delle merci, la scelta degli imballaggi, l’etichettatura e la documentazione di trasporto;
  • la qualità della formazione erogata, sia per l’operatività quotidiana sia per il personale con ruoli di coordinamento;
  • la presenza di incidenti, quasi-incidenti o non conformità;
  • la coerenza tra ciò che l’azienda pensa di fare e ciò che realmente accade nei reparti, dove le pressioni operative possono portare a scorciatoie inconsapevoli;
  • la gestione dei rifiuti pericolosi, un ambito dove l’errore di classificazione è frequente e può avere impatti significativi sulla sicurezza e sulla conformità.

La relazione annuale è il momento in cui consulente e azienda analizzano l’anno trascorso, identificano le aree di miglioramento, definiscono le priorità operative e impostano le azioni per l’anno successivo.

Negli anni, ho imparato a vedere questo documento come uno strumento strategico: un’occasione per mettere ordine, riallineare i processi, verificare la corretta applicazione delle normative e misurare la maturità dell’organizzazione nella gestione delle merci pericolose.
In molti casi, è proprio grazie alla relazione annuale che si riescono a intercettare criticità.

 Cosa avrei voluto sapere davvero

Se ripenso al mio percorso, dalla prima esposizione alla normativa ADR fino alla maturità del ruolo di consulente DGSA, mi rendo conto che ciò che avrei voluto sapere davvero non riguarda un paragrafo preciso, un articolo di norma o una procedura tecnica.

Avrei voluto sapere che questo non è un mestiere fatto di risposte pronte, ma di domande costanti.
Che non si diventa consulenti ADR imparando un testo a memoria, ma sviluppando la capacità di leggere la complessità, di interpretarla e di renderla comprensibile per chi ogni giorno lavora nei reparti, nei magazzini, nei piazzali.

Avrei voluto sapere che la formazione è solo il primo strato di responsabilità, che l’esame non è un traguardo ma un passaggio, che le normative non sono intercambiabili, che le “scorciatoie” raramente portano lontano e che la relazione annuale non è carta, ma consapevolezza messa nero su bianco.

E soprattutto, avrei voluto sapere che il vero valore di questo ruolo non sta nel conoscere l’ADR,
ma nel saper costruire cultura della sicurezza attorno all’ADR.

Perché la figura del DGSA non è solo un obbligo previsto dalla normativa: è una funzione che tiene insieme competenza tecnica, responsabilità etica e visione sistemica del rischio.

Ed è solo con il tempo — e l’esperienza — che si comprende che non si tratta di applicare regole, ma di accompagnare le aziende in un percorso di maturità, dove la conformità diventa parte della loro identità operativa, non un adempimento da subire.

 

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